L’adozione del maggiorenne
L’adozione dei maggiorenni, in origine prevista quale “rimedio” per le persone senza figli che volessero trasmettere cognome e patrimonio a terzi, nel tempo ha assunto – anche in considerazione degli interventi della Corte Costituzionale – una funzione ed una lettura più moderna ed adatta ai tempi. Esamineremo i presupposti necessari per l’adozione, la disciplina sostanziale e processuale, gli effetti della pronuncia di adozione, cercando di tracciare gli elementi principali della normativa codicistica e le prevalenti interpretazioni giurisprudenziali.
L’adozione di persone di maggiore d’età è disciplinata dal Libro I, Titolo VII, capo I e II del Codice Civile (artt. 291 e ss.).
Trattasi di un istituto nato per consentire di avere discendenza a chi non l’avesse: l’interesse primario era dunque quello dell’adottante, che, privo di figli, intendesse trasmettere il patrimonio ed il nome ad un soggetto cui era affettivamente legato.
L’adozione di maggiorenne era originariamente consentita solo qualora l’adottante non avesse discendenti legittimi o legittimati, avesse compiuto gli anni trentacinque e superasse almeno di diciotto anni l’età di colui che intendeva adottare.
Tuttavia la Corte Costituzionale, con le sentenze n. 557 del 19/05/1988 e n. 245 del 20/07/2004, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale l’art. 291, cod. civ. nella parte in cui non consentiva l’adozione a persone che avessero discendenti legittimi, minorenni o, se maggiorenni, consenzienti: con l’intervento della Corte, il contenuto precettivo dell’art. 291, cod. civ. è ora pressoché nullo, anche il riferimento all’età minima di 35 anni ed il secondo comma devono ritenersi implicitamente abrogati.
E’ possibile adottare una o più persone maggiorenni, anche con atti successivi: l’adottato non può tuttavia essere adottato da più di una persona, salvo che i due adottanti siano marito e moglie. Proprio poiché nessuno può essere figlio adottivo di più di una persona (salvo, come detto, il caso di adottanti tra loro coniugi), anche al fine di evitare il formarsi, in capo allo stesso soggetto, di eventuali situazioni di incompatibilità tra “status” personali plurimi, non è ammissibile l’adozione ordinaria di una persona che sia stata già adottata, a nulla rilevando che il precedente adottante sia deceduto.
Il divieto non si applica nel caso in cui la prima adozione sia una adozione speciale: una interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata non può che limitare infatti l’applicazione del divieto solo a plurime adozioni di maggiorenne. Invero, solo se la prima adozione è una adozione di maggiorenne il consentirne una successiva, se non da parte del coniuge del primo adottante, si pone in contrasto con la finalità dell’istituto.
Il tutore non può adottare la persona della quale ha avuto la tutela, se non dopo che sia stato approvato il conto della sua amministrazione, sia stata fatta la consegna dei beni e siano state estinte le obbligazioni risultanti a suo carico o data idonea garanzia per il loro adempimento.
2. Consenso ed assensi per l’adozione
Per l’adozione è necessario:
(i) il consenso dell’adottante e dell’adottando;
(ii) l’assenso dei genitori dell’adottando, del coniuge dell’adottante e dell’adottando, se coniugati e non legalmente separati.
L’indirizzo interpretativo, oramai consolidatosi, consente al soggetto maggiorenne, che si trovi in stato di interdizione giudiziale, di manifestare il proprio consenso all’adozione anche per il tramite del suo rappresentante legale, trattandosi di atto personalissimo che non gli è espressamente vietato e tenuto conto di quanto sancito dagli artt. 1 e 12 della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con disabilità, adottata il 13/12/2006 e ratificata dall’Italia con Legge n. 18/2009.
Non costituisce preclusione alla pronuncia di adozione la circostanza che la moglie dell’adottante non sia in grado di esprimere il suo consenso o dissenso rispetto alla scelta del coniuge per incapacità, potendo il Tribunale pronunciarsi ugualmente a favore dell’adozione.
Parimenti il tribunale può pronunziare l’adozione quando è impossibile ottenere l’assenso per incapacità o irreperibilità delle persone chiamate ad esprimerlo.
L’adozione dopo la morte dell’adottante può pronunziarsi solo ove risulti prestato da questi il consenso all’adozione.
L’eventuale incapacità naturale dell’adottante al momento della manifestazione del consenso può essere fatta valere esclusivamente dai soggetti legittimati a proporre il reclamo ai sensi dell’art. 313, comma II, cod. civ. atteso che, in mancanza di una norma specifica relativa alla legittimazione a far valere i vizi del consenso in tale specifica fattispecie, devono ritenersi legittimate, ai sensi dell’art. 1441, cod. civ. solo le parti del rapporto adottivo, non potendo trovare applicazione l’art. 428, cod. civ..
Pur se la presenza di figli minori del richiedente l’adozione, come tali incapaci, per ragione di età, di esprimere un valido, consapevole consenso, costituisce di regola un impedimento alla richiesta, tuttavia, ove l’adozione riguardi un soggetto, il figlio del coniuge, che già appartenga, insieme al proprio genitore naturale ed ai fratelli minorenni ex uno latere, al contesto materiale ed affettivo della famiglia del richiedente, la presenza dei figli minori dell’aspirante all’adozione non preclude in assoluto la costituzione del vincolo adottivo, fermo restando il potere-dovere del giudice di procedere alla loro audizione personale, pur non aventi capacità piena di discernimento, e del loro curatore speciale, ai fini della formulazione del complessivo e globale giudizio di convenienza per l’adottando richiesto dall’art. 312, comma 1, cod. civ.. Tale convenienza sussiste in quanto l’interesse dell’adottando trovi effettiva e concreta realizzazione nel costituendo vincolo formale, vale a dire nella comunione di intenti, accertabile a seguito delle più opportune informazioni e dei più conducenti rilievi, di tutti i membri del nucleo domestico e, soprattutto, dei figli dell’adottante.
Può inoltre essere disposta l’adozione d’un maggiorenne da parte di chi abbia un discendente legittimo di minore età, quando vi sia il consenso dell’altro genitore esercente la potestà sul minore e l’acquisizione dell’adottando al nucleo familiare cui appartiene detto minore si risolva in vantaggio non solo dell’adottando, ma dello stesso figlio minorenne dell’adottante.
Quando è negato l’assenso il tribunale, sentiti gli interessati, su istanza dell’adottante, può, ove ritenga il rifiuto ingiustificato o contrario all’interesse dell’adottando, pronunziare ugualmente l’adozione, salvo che si tratti dell’assenso dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale o del coniuge, se convivente, dell’adottante o dell’adottando.
La posizione dei figli maggiorenni è parificata a quella del coniuge convivente dell’adottante o dell’adottando: la loro mancanza di assenso osta all’adozione, senza la possibilità per il tribunale di ritenere il rifiuto all’assenso ingiustificato o contrario all’interesse dell’adottando e di procede ugualmente all’adozione.
3. Decorrenza degli effetti dell’adozione
L’adozione produce i suoi effetti dalla data della sentenza che la pronuncia: fino a quel momento, ed ancora fino alla sua definitività (ovvero fino alla scadenza del termine per il reclamo di cui all’art. 313, cod. civ.) tanto l’adottante quanto l’adottando possono revocare il consenso.
Se l’adottante muore dopo la prestazione del consenso e prima dell’emanazione del decreto, si può procedere al compimento degli atti necessari per l’adozione: gli eredi dell’adottante possono presentare al tribunale memorie e osservazioni per opporsi all’adozione. Se l’adozione è ammessa, produce i suoi effetti dal momento della morte dell’adottante.
4. Effetti dell’adozione
L’adottato assume il cognome dell’adottante e lo antepone al proprio: se l’adozione è compiuta da coniugi, l’adottato assume il cognome del marito. Se l’adozione è compiuta da una donna sposata, l’adottato, che non sia figlio del marito, assume il cognome della famiglia di lei.
Si ritiene che una lettura costituzionalmente orientata dell’istituto imponga un’interpretazione adeguatrice dell’art. 299, cod. civ. al fine di consentire, nonostante il tenore letterale di tale disposizione, la postposizione del cognome dell’adottante a quello dell’adottato.
L’adottato conserva tutti i diritti e i doveri verso la sua famiglia di origine: l’adozione non induce alcun rapporto civile tra l’adottante e la famiglia dell’adottato, né tra l’adottato e i parenti dell’adottante.
L’adozione non attribuisce all’adottante alcun diritto di successione, mentre i diritti dell’adottato nella successione dell’adottante sono regolati dalle norme del codice civile.
5. Revoca dell’adozione
L’adozione si può revocare soltanto nei casi di:
(ii) indegnità dell’adottato: può essere pronunziata dal tribunale su domanda dell’adottante, quando l’adottato abbia attentato alla vita di lui o del suo coniuge, dei suoi discendenti o ascendenti, ovvero se si sia reso colpevole verso loro di delitto punibile con pena restrittiva della libertà personale non inferiore nel minimo a tre anni. Se l’adottante muore in conseguenza dell’attentato, la revoca dell’adozione può essere chiesta da coloro ai quali si devolverebbe l’eredità in mancanza dell’adottato e dei suoi discendenti;
(ii) indegnità dell’adottante: su domanda dell’adottato, quando i fatti di cui sopra sono stati compiuti dall’adottante contro l’adottato, oppure contro il coniuge o i discendenti o gli ascendenti di lui.
I fatti di violenza previsti dall’art. 306, cod. civ. quale causa di revoca dell’adozione sono solo quelli che si traducono in un attentato alla vita dell’adottante (oltre che dei suoi discendenti o ascendenti) od in reati punibili con la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, ad anni tre; ne consegue che non rileva, a tali fini, l’aver tentato di arrecare all’adottante lesioni gravissime ritenuto che, a causa della diminuzione fino ai due terzi della pena, prevista dall’art. 56 cod. pen. per il delitto tentato, nell’ipotesi del delitto punito dall’art. 583 cod. pen. la pena minima di sei anni prevista per tale reato scende ad anni due di reclusione e non concreta perciò l’ipotesi di indegnità.
>> Leggi anche la voce AltalexPedia: Indegnità succedere
Non è prevista la revoca dell’adozione in caso di mancato versamento, da parte dell’adottato, delle rate della rendita vitalizia che egli si era impegnato a costituire in cambio dell’adozione.
Gli effetti dell’adozione cessano quando passa in giudicato la sentenza di revoca: se, tuttavia, è pronunziata dopo la morte dell’adottante per fatto imputabile all’adottato, l’adottato e i suoi discendenti sono esclusi dalla successione dell’adottante.
6. Procedura
La competenza territoriale è del tribunale nel cui circondario l’adottante ha la residenza: l’adozione di maggiori di età da parte di cittadini italiani residenti all’estero deve essere individuata per analogia (art. 12, disp. prel. cod. civ.) con l’art. 29, L. 04/05/1983, n. 184 nella circoscrizione giudiziaria dell’ultimo domicilio in Italia dell’adottante.
Il consenso dell’adottante e dell’adottando – o del legale rappresentante di quest’ultimo – deve essere manifestato personalmente al presidente del tribunale.
L’assenso delle persone indicate può essere dato da persona munita di procura speciale rilasciata per atto pubblico o per scrittura privata autenticata.
Il tribunale, assunte le opportune informazioni:
(i) verifica se tutte le condizioni della legge sono state adempiute e se l’adozione “conviene” all’adottando;
(ii) in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero e omessa ogni altra formalità di procedura, provvede con sentenza decidendo se far luogo alla adozione.
L’adottante, il pubblico ministero, l’adottando, entro trenta giorni dalla comunicazione, possono proporre impugnazione avanti la corte d’appello, che decide in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero.
Si ritiene che la valutazione ex art. 312, cod. civ. circa la convenienza dell’adozione, in una lettura costituzionalmente orientata ed alla luce del principio dell’inviolabilità della libertà di autodeterminazione individuale anche in relazione alla sfera familiare (artt. 2 e 29 Cost.), non dovrebbe essere compiuta dal giudice, in quanto in tal caso egli si sovrapporrebbe alla volontà degli adottandi che, unitamente a quella degli adottanti, concorre alla formazione di un negozio giuridico rispetto al quale lo stesso giudice non può essere chiamato ad una valutazione “intrinseca” essendo invece tenuto, secondo uno schema autorizzatorio, ad una mera valutazione “estrinseca”, come tale incentrata sull’esistenza delle volontà e dei presupposti di legge.
Secondo altra interpretazione, l’adozione di maggiorenne pretende la verifica del requisito della convenienza, affinché l’interesse dell’adottando trovi una effettiva e reale rispondenza nella comunione di intenti dei richiedenti.
Ricorrono per esempio i presupposti per fare luogo alla adozione:
(i) qualora venga dimostrato che l’aspirante adottante, che non ha avuto figli né è mai stato sposato, ha manifestato l’intenzione di adottare quest’ultimo con il consenso dell’unico genitore del giovane;
(ii) l’instaurazione da alcuni anni di un solido rapporto tra adottante ed adottato, ospitato presso l’abitazione del primo e considerato come un figlio, tanto che l’adottante ha contribuito alla formazione del giovane, e l’adottando ha provveduto a tutte le necessità dell’adottante, data l’età avanzata di quest’ultimo;
(iii) un intenso e durevole rapporto tra adottante ed adottato connotato da una frequentazione quotidiana.
7. Trascrizione ed impugnazione della sentenza
La sentenza definitiva che pronuncia l’adozione è trascritta a cura del cancelliere del tribunale entro il decimo giorno successivo a quello della relativa comunicazione, da effettuarsi non oltre cinque giorni dal deposito, da parte del cancelliere del giudice dell’impugnazione, su apposito registro e comunicata all’ufficiale di stato civile per l’annotazione a margine dell’atto di nascita dell’adottato.
La stessa procedura di trascrizione ed annotazione viene prevista per la sentenza di revoca della adozione, passata in giudicato.
L’autorità giudiziaria può inoltre ordinare la pubblicazione della sentenza che pronuncia l’adozione o la revoca nei modi che ritiene opportuni.
La sentenza che pronuncia l’adozione ha natura costitutiva, e produce effetti direttamente incidenti sullo status dell’adottato ed è connotato dalla stabilità, comprovata dalla circostanza della previsione della sua revocabilità soltanto in casi tassativi e specifici in conseguenza di fatti sopravvenuti e con efficacia ex tunc. Pertanto, poiché la sentenza ha natura decisoria e definitiva, i vizi, sia processuali sia sostanziali, che eventualmente lo inficiano e ne determinano la nullità si convertono in motivi di impugnazione e possono essere fatti valere esclusivamente con il mezzo previsto dall’ordinamento, con la conseguenza che la decadenza dall’impugnazione comporta che gli stessi non possano essere più dedotti neppure con l’actio nullitatis.
Poiché la decisione sulla richiesta di far luogo all’adozione viene assunta, ancorché in esito ad un procedimento che si svolge in camera di consiglio, con sentenza, la pronuncia in sede di gravame dalla Corte d’appello è ricorribile per cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c..
L’azione per la dichiarazione di nullità assoluta del decreto di adozione compete non solo ai soggetti indicati nell’art. 313 comma II, cod. civ., bensì a chiunque vi abbia interesse.
Il ricorso per cassazione avverso il decreto con il quale la Corte d’appello, in sede di reclamo, ai sensi dell’art. 313 cod. civ., provvede in materia di adozione di persona maggiorenne, va proposto nel termine ordinario di sessanta giorni.