L’Amministrazione di sostegno


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L’Amministrazione di sostegno

L’amministrazione di sostegno è un istituto dell’ordinamento giuridico italiano, disciplinato dal codice civile, la cui funzione è quella di affiancare il soggetto privo in tutto o in parte di autonomia, con la minore limitazione possibile della capacità di agire.

La figura è stata introdotta con la legge 9 gennaio 2004 n. 6.

Con tale norma, il legislatore italiano ha radicalmente rivisto la materia delle limitazioni relative alla capacità di agire delle persone e, in luogo della già privilegiata tutela del patrimonio, della famiglia e dei creditori dei soggetti affetti da disabilità, ha stabilito, su un piano di ben più vasta portata sociale, che colui che, privo in tutto o in parte di autonomia per effetto di una infermità fisica o psichica, si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, ha diritto di essere coadiuvato da un amministratore di sostegno nominato dal giudice tutelare che, sulla base delle concrete esigenze dell’ausilio, disporrà, per gli atti o per le categorie di atti per i quali si ravvisi l’opportunità del sostegno, la sostituzione ovvero la mera assistenza della persona che non sia in grado di darvi autonoma esecuzione.

Beneficiano dell’amministrazione di sostegno i maggiorenni o i minori emancipati che si trovano in una situazione di grave e lunga incapacità derivante da menomazione fisica (come i portatori di handicap, gli anziani, i lungodegenti) o psichica (come i tossicodipendenti, gli alcolisti, gli autistici); gli interdetti o gli inabilitati solo dal momento della pubblicazione della sentenza di revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione.

L’incapacità non deve essere definitiva e totale ma deve impossibilitare tali soggetti a provvedere ai loro interessi e ad espletare le normali funzioni della vita quotidiana.

Può fare domanda per ottenere la nomina dell’amministratore di sostegno il beneficiario stesso dell’amministrazione di sostegno, il coniuge o la persona stabilmente convivente, i parenti entro il quarto grado o gli affini entro il secondo grado, il tutore o il curatore, il pubblico ministero, i responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona. Costoro, se sono a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l’apertura del procedimento di amministrazione di sostegno, sono tenuti a presentare al giudice tutelare il ricorso per l’amministrazione o comunque a informare della situazione il pubblico ministero.

Il beneficiario può nominare l’amministratore di sostegno solo in previsione di una propria futura incapacità, rappresentando tale situazione presupposto fondamentale dello stesso.

La richiesta per l’amministrazione di sostegno si propone innanzi al giudice tutelare del luogo dove il beneficiario ha la residenza o il domicilio.

Se la richiesta riguarda una persona interdetta o inabilitata, la domanda è presentata, congiuntamente all’istanza di revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione, davanti al tribunale.

La richiesta si effettua con la forma del ricorso da depositare nella cancelleria centrale unitamente agli allegati. Il ricorso deve contenere: le generalità, residenza e dimora abituale del beneficiario; le generalità, domicilio ed eventuale grado di parentela del ricorrente (se il ricorrente è responsabile del servizio sanitario deve indicarlo); le generalità e domicilio del coniuge, degli ascendenti e dei discendenti, degli ascendenti, dei fratelli e dei conviventi del beneficiario, laddove conosciuti dal ricorrente; se vi sono, generalità e domicilio del tutore o del curatore (nel caso di minore o di soggetto già interdetto o inabilitato); le ragioni per cui si richiede la nomina dell’amministratore di sostegno; l’indicazione degli atti per il compimento dei quali si rende necessaria l’assistenza o la rappresentanza dell’amministratore di sostegno; l’esposizione dei fatti posti alla base della domanda; le conclusioni, inclusa l’indicazione della persona proposta come amministratore di sostegno; la sottoscrizione del ricorrente, se sta in giudizio personalmente, oppure del suo difensore. Il difensore deve indicare il proprio codice fiscale, l’indirizzo di Pec ed il numero di fax.

Al ricorso devono essere allegati una copia del documento d’identità del ricorrente e del beneficiario; il certificato di residenza del beneficiario; il certificato storico anagrafico del beneficiario; lo stato di famiglia del beneficiario; la documentazione medica del beneficiario (certificati medici specialistici attestanti la malattia da cui è affetto purché rilasciati da una struttura pubblica nonché ogni altro certificato o referto utile); eventuale documentazione relativa alle operazioni da compiere; copia delle dichiarazioni fiscali del ricorrente (se esistenti).

Dopo il deposito del ricorso, il Presidente del Tribunale nomina il giudice tutelare e fissa l’udienza di comparizione innanzi a lui. A questa devono presentarsi il ricorrente e tutte le persone indicate nel ricorso che possano fornire informazioni utili. Con il decreto di fissazione udienza il Presidente del Tribunale fissa il termine entro cui il ricorrente deve notificare il ricorso e il decreto a tutte le persone interessate, ordinando la comunicazione al pubblico ministero sia del ricorso sia del decreto contenente la fissazione dell’udienza.

All’udienza di comparizione, alla quale ha facoltà di intervenire il pubblico ministero, il giudice tutelare procede all’audizione del beneficiario, se comparso, e valuta l’effettivo stato di menomazione fisica o psichica dello stesso. Se il beneficiario non è in condizioni per comparire all’udienza, il giudice, se necessario, può recarsi nel luogo in cui questo si trova, compatibilmente alle esigenze di protezione dello stesso, nonché ai suoi bisogni, interessi e richieste.

Il giudice, quindi, assunte le informazioni ritenute utili e necessarie all’indagine e sentite le persone indicate nel ricorso o alle quali è stato notificato (se sono comparse), provvede con la nomina dell’amministratore.

Se, però, il giudizio deve proseguire per la necessità di effettuare accertamenti medici o altri mezzi istruttori utili ai fini della decisione, il giudice può, se necessario, adottare anche d’ufficio i provvedimenti urgenti per la cura della persona interessata e per la conservazione e l’amministrazione del suo patrimonio, nominando un amministratore di sostegno provvisorio con l’indicazione degli atti che è autorizzato a compiere.

La persona dell’amministratore può essere indicata dallo stesso beneficiario in previsione della propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, oppure dal genitore superstite, con testamento, atto pubblico o scrittura privata autenticata.

In mancanza, o in presenza di gravi motivi, è il giudice tutelare a designare l’amministratore di sostegno, scegliendo preferibilmente tra il coniuge, non separato legalmente o la persona stabilmente convivente; il padre, la madre, il figlio, il fratello o la sorella; un parente entro il quarto grado o un soggetto designato dal genitore superstite con testamento, atto pubblico o scrittura privata autenticata; in mancanza, altra persona idonea.

Non possono ricoprire la funzione di amministratore di sostegno coloro che hanno in cura o in carico il beneficiario in qualità di operatori dei servizi pubblici o privati; non hanno la libera amministrazione del proprio patrimonio; sono stati esclusi dalla tutela per disposizione scritta del genitore che per ultimo ha esercitato la patria potestà; hanno o stanno per avere una lite col beneficiario, dalla quale potrebbe derivare una perdita notevole del patrimonio di questo (ciò vale anche se la lite vede coinvolto un ascendente, un discendente o il coniuge del soggetto che deve essere nominato); sono incorsi nella perdita o decadenza della potestà dei genitori o sono stati rimossi da altra tutela; sono falliti e non sono stati cancellati dal registro dei falliti; sono dispensati d’ufficio o dietro apposita domanda di dispensa.

Il giudice tutelare, dopo l’audizione del beneficiario ed entro 60 giorni dalla data di presentazione della richiesta, provvede con decreto motivato immediatamente esecutivo alla nomina dell’amministratore di sostegno.

Se il beneficiario è un minore emancipato, il decreto può essere emesso solo nell’ultimo anno della sua minore età e diventa esecutivo a decorrere dal momento in cui il minore raggiunge la maggiore età.

Se l’interessato è, invece, un interdetto o un inabilitato, il decreto è esecutivo dalla pubblicazione della sentenza di revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione.

Se necessario, il giudice può adottare anche d’ufficio i provvedimenti urgenti per la cura della persona interessata e per la conservazione e l’amministrazione del beneficiario.

Il giudice, nel caso in cui ritenga che le esigenze di assistenza di un soggetto impossibilitato a provvedere ai propri interessi siano comunque esaurientemente soddisfatte già all’interno del contesto familiare, può rigettare il ricorso per la nomina dell’amministratore. Ciò, soprattutto, se emerge che la domanda non è stata proposta per la tutela del beneficiario, ma piuttosto allo scopo di regolamentare tra i familiari medesimi gli aspetti economici dell’assistenza stessa.

A determinare quali atti può compiere il beneficiario è il giudice all’interno del decreto di nomina. In particolare, il decreto di nomina deve contenere le generalità della persona beneficiaria e dell’amministratore di sostegno; la durata e l’oggetto dell’incarico; gli atti che l’amministratore di sostegno ha il potere di compiere da solo, in nome e per conto del beneficiario; gli atti che il beneficiario può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore di sostegno; gli atti che il beneficiario può compiere da solo; i limiti, anche periodici, delle spese che l’amministratore può sostenere utilizzando le somme in disponibilità dell’amministrato; la periodicità con cui l’amministratore di sostegno deve riferire al giudice circa l’attività svolta e le condizioni di vita personali e sociali del beneficiario.

La durata dell’incarico dell’amministratore di sostegno, di norma, è a tempo determinato; in tal caso, il giudice tutelare può prorogarla con decreto motivato anche d’ufficio prima della scadenza del termine.

Se la durata è a tempo indeterminato, il giudice deve adeguatamente motivare nel decreto tale scelta con particolare riguardo allo stato di incapacità del beneficiario. Secondo la Convenzione di New York, la durata a tempo indeterminato costituisce l’eccezione: la misura deve, infatti, essere applicata per il minore tempo possibile.

L’amministratore di sostegno non è tenuto a continuare nello svolgimento dei suoi compiti per una durata superiore a 10 anni, ad eccezione dei casi in cui tale incarico sia rivestito dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dagli ascendenti o dai discendenti.

Il decreto di apertura dell’amministrazione di sostegno ed ogni altro provvedimento adottato dal giudice in tale ambito sono soggetti a pubblicità mediante annotazione a cura del cancelliere nel registro delle amministrazioni di sostegno presso l’ufficio del giudice tutelare; comunicazione entro dieci giorni dal decreto di nomina all’ufficiale dello stato civile, che annota il provvedimento sul certificato di nascita del beneficiario; iscrizione nel casellario giudiziale.

Se la durata dell’incarico è a tempo determinato, le annotazioni devono essere cancellate alla scadenza del termine indicato nel decreto di apertura o in quello eventuale di proroga.

Il giudice tutelare può, in ogni tempo, modificare o integrare anche d’ufficio, le decisioni assunte con il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno.

Inoltre, anche successivamente al decreto di nomina, il giudice può disporre che determinati effetti, come limitazioni o decadenze, previsti dalla legge per l’interdetto o l’inabilitato, si estendano al beneficiario dell’amministrazione di sostegno, con riguardo all’interesse del medesimo. Il provvedimento è assunto con decreto motivato a seguito di ricorso che può essere presentato anche direttamente dal beneficiario.

Il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno può essere impugnato.

Legittimati a proporre impugnazione avverso il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno sono tutti coloro che avrebbero avuto diritto a proporre la domanda, anche nel caso in cui non abbiano partecipato al giudizio, nonché l’amministratore di sostegno stesso ed il Pubblico Ministero.

L’impugnazione si propone innanzi alla Corte d’Appello tramite reclamo. Il reclamo deve essere proposto nel termine di 10 giorni dalla comunicazione del decreto, se è dato nei confronti di una sola parte, o dalla notificazione, se è dato nei confronti di più parti. Per il Pubblico Ministero, il termine decorre dal momento in cui ne ha ricevuto comunicazione.

La Corte d’Appello decide con decreto che può essere impugnato solo con ricorso per Cassazione.

Prima dell’inizio dell’attività, l’amministratore di sostegno deve giurare innanzi al giudice tutelare di esercitare l’incarico ricevuto con fedeltà e diligenza.

Nello svolgimento dei suoi compiti, l’amministratore di sostegno deve comportarsi con la diligenza del buon padre di famiglia e tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario.

In caso di violazione dei propri doveri, l’amministratore deve rispondere verso il beneficiario di ogni danno cagionato.

L’attività dell’amministratore di sostegno è gratuita, salvo un’equa indennità che viene determinata a carico del beneficiario.

L’amministratore di sostegno può compiere i seguenti atti di straordinaria amministrazione, previa autorizzazione del giudice tutelare: 1) acquisto di beni, eccettuati quelli necessari per l’uso del beneficiario, per l’economia domestica e per l’amministrazione del patrimonio; 2) riscossione di capitali, assenso alla cancellazione di ipoteche o allo svincolo di pegni, assunzione di obbligazioni (salvo quelle relative alle spese necessarie per mantenere il beneficiario o per l’amministrazione ordinaria del suo patrimonio; 3) accettazione e rinuncia di eredità, accettazione di donazioni o legati; conclusione di contratti di locazione di mobili od immobili; 4) promozione di giudizi (salva la denuncia di nuova opera e di danno temuto, di azioni possessorie o di sfratto e di azioni per riscuotere frutti o per ottenere provvedimenti conservativi); 5) alienazione di beni, mobili o immobili, eccettuati i frutti e i beni mobili soggetti a facile deterioramento; 6) costituzione di pegni ed ipoteche; 7) divisioni e introduzioni dei relativi giudizi; 8) conclusione di compromessi e transazioni o accettazione di concordati.

Tutti gli atti sopraelencati compiuti senza l’autorizzazione giudiziale sono annullabili.

Sono, inoltre, vietati all’amministratore l’acquisto diretto o per interposta persona dei beni e dei diritti del beneficiario; la locazione dei beni del beneficiario senza l’autorizzazione né le cautele fissate dal giudice tutelare; la cessione di credito verso il beneficiario.

Anche detti atti, se posti in essere senza preventiva autorizzazione del giudice tutelare, sono annullabili.

L’amministratore di sostegno ha, inoltre, un obbligo di rendiconto: deve, infatti, tenere una regolare contabilità dell’amministrazione e renderne conto annualmente al giudice tutelare.

Il beneficiario dell’amministrazione di sostegno conserva, di norma, la capacità di agire per tutti gli atti di ordinaria amministrazione che siano necessari a soddisfare le esigenze della sua vita quotidiana nonché per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministrazione di sostegno.

In caso di conflitto di interessi, dissenso o contrasto tra il beneficiario e l’amministratore di sostegno, quest’ultimo deve tempestivamente informare il giudice tutelare.

Nel caso in cui l’amministratore compia atti dannosi o sia negligente nel perseguire l’interesse o nel soddisfare i bisogni o le richieste del beneficiario, quest’ultimo, il pubblico ministero e tutti i soggetti legittimati, possono ricorrere al giudice tutelare affinché adotti gli opportuni provvedimenti nei confronti dell’amministratore.

L’incarico dell’amministratore di sostegno può essere revocato quando sussistono i presupposti per la cessazione dell’amministrazione, quali ad esempio il venir meno dell’infermità o l’aggravarsi della stessa con conseguente necessità di interdizione. In questi casi, il beneficiario stesso, l’amministratore di sostegno, il pubblico ministero, o taluno dei soggetti legittimati devono rivolgere istanza motivata al giudice tutelare. L’istanza deve essere comunicata al beneficiario e all’amministratore di sostegno, se presentata da soggetti diversi da questi.

Il giudice tutelare provvede altresì, anche d’ufficio, alla dichiarazione di cessazione dell’amministrazione di sostegno quando questa si sia rivelata inidonea a realizzare la piena tutela del beneficiario. In tale ipotesi, se ritiene che si debba promuovere un giudizio di interdizione o di inabilitazione, ne informa il pubblico ministero, affinché vi provveda. In questo caso, l’amministrazione di sostegno cessa con la nomina del tutore o del curatore provvisorio o con la dichiarazione di interdizione o di inabilitazione.

Inoltre, il giudice tutelare può sempre esonerare l’amministratore dall’incarico, quando questo sia diventato eccessivamente gravoso e vi sia un soggetto in grado di sostituire l’amministratore.

Il giudice può anche rimuoverlo per negligenza, abuso dei poteri o incapacità nell’adempimento dei compiti affidatigli, immeritevolezza dell’incarico per atti anche estranei alla tutela, sopravvenuta insolvenza.

Alla cessazione dell’incarico, l’amministratore di sostegno deve subito consegnare i beni che ha amministrato nonché presentare, nel termine di due mesi, il conto finale dell’amministrazione al giudice tutelare che lo esamina e se non ci sono osservazioni, anche da parte del beneficiario, lo approva. In caso contrario, nega l’approvazione.