L’eredità giacente


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L’eredità giacente

Quando una persona muore, si apre la successione mortis causa. Prima dell’accettazione dell’eredità, si crea una fase di incertezza, infatti, il patrimonio non appartiene più al de cuius e non si sa se il primo chiamato all’eredità la accetterà o se deciderà di rinunziarvi e, quindi, subentrerà il chiamato successivo.

Il patrimonio, pertanto, “giace” senza un titolare, per questa ragione, si può ricorrere alla nomina di un curatore dell’eredità giacente, che si occupi di amministrare e gestire l’asse ereditario.

Si tratta di una soluzione provvisoria volta a soddisfare le esigenze dell’eredità e dei terzi. Nella presente trattazione verranno esaminati la procedura, i costi e i presupposti dell’istituto (come la circostanza che il chiamato all’eredità non sia nel possesso dei beni ereditari e che non abbia accettato).

Quando una persona muore, si apre la successione mortis causa, in altre parole, il suo patrimonio viene trasmesso agli eredi.

Gli eredi sono i soggetti espressamente indicati dal de cuius nelle disposizioni di ultima volontà (successori testamentari); oppure, in mancanza di testamento, sono considerati eredi i successori legittimi, detti anche successibili. Rientrano in tale categoria il coniuge, i discendenti, gli ascendenti, i collaterali e gli altri parenti sino al sesto grado (art. 565 c.c.).

Gli eredi testamentari (in caso di successione testamentaria)e gli eredi legittimi (in caso di successione legittima o ab intestato) sono definiti “chiamati” o “vocati” all’eredità, in quanto destinatari della vocazione, sia essa testamentaria o legittima. Essi divengono eredi unicamente mediante l’adizione di eredità, anche detta accettazione (art. 459 c.c.). L’accettazione può avvenire in due forme: “puramente e semplicemente” o con “beneficio di inventario”. In estrema sintesi, se gli eredi hanno optato per l’accettazione pura e semplice rispondono dei debiti ereditari con tutto il loro patrimonio. Per contro, con il beneficio di inventario (art. 484 c.c.), i chiamati rispondono nei limiti dei beni contenuti nel compendio ereditario.

Ora, può accadere che i chiamati all’eredità non abbiano accettato, i chiamati all’eredità abbiano rinunciato,non vi siano chiamati all’eredità o non si sappia se siano in vita o se esistano.

In tutti i suindicati casi, stante la situazione di incertezza, l’asse ereditario giace senza titolare e si parla di eredità giacente. Tale istituto offre una soluzione provvisoria volta a soddisfare le esigenze dell’eredità e dei terzi. Infatti, nella maggior parte dei casi, sono i creditori del de cuius ad avere interesse a che il suo patrimonio sia gestito al fine di recuperare il proprio credito.

La successione si apre con la dipartita del de cuius. Può capitare che tra l’apertura della successione e l’accettazione del chiamato passi un significativo lasso di tempo. Basti pensare che il termine entro cui il chiamato può adire l’eredità è di dieci anni. L’accettazione ha efficacia retroattiva, ossia il suo effetto risale al momento dell’apertura della successione (art. 459 c.c.), nondimeno, nel periodo che intercorre tra l’apertura della successione e l’accettazione, l’asse ereditario rimane senza titolare. Per questa ragione, la legge prevede, su istanza degli interessati o d’ufficio, la nomina di un curatore dell’eredità che giace senza titolare (eredità giacente), al fine di compiere gli atti conservativi necessari a tutelare il patrimonio da eventuali pregiudizi e soddisfare i creditori. Ad esempio, può capitare che i beni si deteriorino o che terzi vantino dei diritti su di essi: il curatore “serve” proprio per gestire situazioni simili.

La disciplina sull’istituto dell’eredità giacente si trova nel Codice civile e nel Codice di Procedura civile. Le disposizioni normative di riferimento sono l’art. 528 c.c. (in materia di nomina del curatore), l’art. 529 c.c. (sugli obblighi del curatore), l’art. 530 c.c. (sul pagamento dei debiti ereditari), l’art. 531 c.c. (su inventario, amministrazione e rendimento dei conti), l’art. 532 c.c. (sulla cessazione della curatela per accettazione dell’eredità); l’art. 781 c.p.c. (sulla notificazione del decreto di nomina), art. 782 c.p.c. (sulla vigilanza del giudice), l’art. 783 c.p.c. (sulla vendita dei beni ereditari), l’art. 193 disp. att. c.p.c. (sul giuramento del curatore).

Per procedere alla nomina del curatore dell’eredità giacente, l’art. 528 c.c. prevede espressamente che il chiamato all’eredità non abbia accettato e non sia nel possesso dei beni ereditari.

In merito all’accettazione, si fa riferimento all’accettazione espressa, che si realizza quando il chiamato all’eredità abbia dichiarato di accettarla, con atto pubblico o scrittura privata (art. 475 c. 1 c.c.); come pure all’accettazione tacita, che si realizza allorché il chiamato compia un atto che presuppone la volontà di accettare, come la vendita di un bene ereditario (art. 476 c.c.).

In merito al requisito del possesso dei beni ereditari, facciamo un esempio.

Tizio ha come erede il figlio Sempronio, che vive con lui nell’abitazione di sua proprietà. Il figlio, al momento della morte del padre, si trova nel possesso della casa – bene ereditario – pertanto, in tale situazione, non è possibile ricorrere all’istituto dell’eredità giacente, infatti, il chiamato (Sempronio) si trova nel possesso dei beni del de cuius (Tizio).

Nel caso in cui ricorrano ambedue le condizioni indicate dall’art. 528 c.c., si può depositare un ricorso con cui si chiede all’autorità giudiziaria la nomina di un curatore dell’eredità giacente.

Nel caso in cui vi siano più chiamati all’eredità e solo alcuni abbiano accettato, secondo la giurisprudenza più recente, non è configurabile un’eredità giacente pro quota.

Facciamo un esempio per chiarire la situazione.

Nevio muore, i chiamati all’eredità sono i figli, Tizio, Caio e Sempronio; i primi due accettano, mentre il terzo non accetta né rinuncia. La sua quota rimane giacente, ciò nondimeno non è ammissibile la nomina di un curatore solo per una porzione dell’asse ereditario, giacché la funzione dell’istituto riguarda l’amministrazione e la conservazione dell’intero patrimonio nell’attesa che venga devoluto a chi ne abbia titolo. In buona sostanza, per ricorrere alla nomina del curatore è necessaria la mancata accettazione dell’eredità da parte dell’unico chiamato oppure di tutti i chiamati.

In passato si riteneva che l’eredità giacente potesse ritenersi alla stregua di una persona giuridica, attualmente, tale teoria è stata superata e la hereditas iacens è considerata come un patrimonio autonomo, giacché è in attesa di “sparire” a seguito dell’accettazione ovvero di diventare un patrimonio separato nell’ipotesi di un’accettazione con beneficio di inventario. L’eredità giacente è un patrimonio sotto amministrazione, ossia un insieme di beni che necessitano di un amministratore in attesa che il titolare ne assuma la titolarità.

Gli atti compiuti dal curatore non sono imputati all’eredità atteso che, come ricordato, essa non è un ente giuridico. Secondo alcuni autori, tali atti si considerano imputati all’erede; infatti, «il curatore rappresenta l’erede nella persona che risulterà a seguito dell’accettazione», invece, secondo altri, il curatore non rappresenta l’erede ma è un mero amministratore del patrimonio.

La legge dispone che l’istanza per la nomina del curatore dell’eredità giacente possa avvenire da parte di chiunque vi abbia interesse oppure d’ufficio.

Interessati alla nomina sono principalmente i chiamati all’eredità che non si trovino nel possesso dei beni, i designati ulteriori, ossia i chiamati di grado successivo, i legatari, i creditori del defunto, chi ha proposto (o intende proporre) azioni contro l’eredità.

Tra i creditori potrebbe esservi anche il Condominio, con riferimento alle spese condominiali. Ebbene, non esiste un obbligo in capo all’amministratore di condominio di instare per la nomina di un curatore, nondimeno, non si esclude che possa agire in tal senso per riscuotere il credito vantato dal Condominio.

L’Agenzia delle Entrate che vanti dei crediti verso il de cuius può chiedere la fissazione di un termine per l’accettazione dell’eredità, la cosiddetta actio interrogatoria (ex art 481 c.c.) o può instare per la nomina di un curatore dell’eredità giacente. Infatti, l’art. 36 c. 4 del d. lgs. 346/1990 dispone che “L’ufficio del registro può chiedere la fissazione di un termine per l’accettazione dell’eredità a norma dell’articolo 481 del Codice civile la nomina di un curatore dell’eredità giacente a norma dell’art. 528 dello stesso codice”.

La nomina del curatore dell’eredità giacente ha come conseguenza l’impossibilità per i chiamati di compiere atti conservativi.

Infatti l’art. 460 c.c. attribuisce al chiamato all’eredità – che non abbia ancora accettato – la possibilità di esercitare le azioni possessorie a tutela dei beni ereditari, senza bisogno di materiale apprensione; compiere atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea; farsi autorizzare dall’autorità giudiziaria a vendere i beni che non si possono conservare o la cui conservazione importa grave dispendio.

In particolare, la citata norma contempla l’istituto della cosiddetta “saisine ereditaria”. Il termine “saisine” proviene dall’espressione francese “le mort saisit le vif”, vale a dire il morto impossessa il vivo. In buona sostanza, il vocato gode della legittimazione attiva nell’esperimento delle azioni possessorie, a prescindere dalla materiale apprensione del bene. Il soggetto, infatti, non è ancora erede ma solamente un “vocato”, ossia un chiamato. L’eredità, sino alla formale accettazione della stessa, risulta giacente, giacché si realizza la pendenza della delazione. Nondimeno, con la nomina di un curatore, tali poteri in capo al vocato vengono meno. Infatti, l’ultimo comma dell’art. 460 c.c. dispone espressamente che il chiamato non possa compiere gli atti suindicati, quando si è provveduto alla nomina di un curatore dell’eredità.

Inoltre, a seguito della nomina del curatore, non possono essere iscritte ipoteche giudiziali sui beni ereditari, neppure in base a sentenze pronunziate anteriormente alla morte del debitore (art. 2830 c.c.). La norma persegue lo scopo di mantenere la par condicio creditorum; infatti, il patrimonio dell’eredità giacente è un patrimonio separato, destinato alla liquidazione, pertanto, non sarebbe giustificabile che alcuni creditori, mediante l’iscrizione di ipoteca, costituiscano a proprio vantaggio una causa legittima di prelazione.

Riassumendo, le conseguenze della nomina di un curatore sono:

  1. l’impossibilità per il chiamato (o i chiamati) di esperire azioni possessorie o atti conservativi (art. 460 c. 3 c.c.);
  2. l’impossibilità di iscrivere ipoteche giudiziali sui beni ereditari, neppure in base a sentenze pronunziate anteriormente alla morte del debitore (art. 2830 c.c.),
  3. nel caso di liquidazione concorsuale (vedasi paragrafo 15 lett. b), l’impossibilità per i creditori di promuovere procedure esecutive sui beni dell’eredità.

La procedura per la nomina del curatore dell’eredità giacente rientra nella volontaria giurisdizione. La forma dell’atto è il ricorso da presentare al tribunale del luogo in cui si è aperta la successione.

Di seguito, l’iter schematizzato:

  • il tribunale decide sul ricorso presentato dalle parti interessate con il decreto di nomina;
  • il decreto viene notificato, a cura del cancelliere, al curatore nel termine stabilito dal decreto stesso (art. 781 c.p.c.);
  • il decreto viene pubblicato per estratto sulla Gazzetta Ufficiale e iscritto nel registro delle successioni;
  • avverso tale decreto è ammesso reclamo.

Il curatore riceve la notifica della nomina ad opera del cancelliere. Solitamente, nel decreto viene indicata la data del giuramento. Infatti, il curatore, prima d’iniziare l’esercizio delle sue funzioni, deve prestare giuramento davanti al giudice dell’esecuzione di custodire e amministrare fedelmente i beni dell’eredità (art. 193 disp. att. c.p.c.). Pertanto, il curatore si presenta davanti al giudice accetta l’incarico, prestando giuramento.

La natura del curatore dell’eredità giacente è stata oggetto di discussione. L’orientamento prevalente lo qualifica come un ausiliario del giudice «dovendosi intendere per tale il privato esperto in una determinata arte o professione, ed in generale, idoneo al compimento di atti che il giudice non può compiere da solo, temporaneamente incaricato di una pubblica funzione» (Cass. S.U. 11619/1997; Cass. Pen. 34335/2010).

Altra tesi lo considera un ufficio di diritto privato, ossia titolare di un potere conferitogli dalla legge per la tutela di un interesse altrui; in ultimo, si segnala anche l’orientamento minoritario che lo ritiene un ufficio di diritto pubblico.

Per il curatore non opera la limitazione della responsabilità per dolo o colpa grave prevista per l’erede che accetta con beneficio d’inventario (art. 531 c.c. ultimo alinea). Il curatore risponde anche per colpa lieve, secondo il parametro della diligenza del buon padre di famiglia (art. 1176 c.c.). Infatti, il curatore dell’eredità giacente, a differenza dell’erede beneficiato, risponde anche per colpa lieve, poiché egli amministra i beni ereditari nell’interesse altrui.

Il curatore deve gestire e amministrare il compendio ereditario, cosa accade se si appropria dei beni dell’eredità?

La giurisprudenza ritiene che tale condotta criminosa integri il resto di peculato (art. 314 c.p.) e non di appropriazione indebita. Infatti, mentre il delitto di cui all’art. 646 c.p. è un reato comune, il peculato è un reato proprio, in cui il soggetto attivo del reato (nel nostro caso, il curatore) ricopre la qualifica di pubblico ufficiale (Cass. Pen. 34335/2010). Secondo la giurisprudenza, «il curatore della eredità giacente […] va annoverato fra gli ausiliari del giudice […]costui è tenuto sotto giuramento, ex art. 193 disp, att. c.p.c., a custodire e ad amministrare fedelmente i beni dell’eredità, sotto la direzione e la sorveglianza del giudice, da esplicarsi mediante appositi provvedimenti; esercita poteri di gestione finalizzati alla salvaguardia del patrimonio ereditario in attesa della sua definitiva destinazione; è obbligato al rendiconto della propria amministrazione, cui consegue l’approvazione e la consegna all’erede del patrimonio convenientemente gestito. Tali compiti sono espressione tipica della funzione pubblica esercitata in ausilio all’attività del giudice e, conseguentemente, non può negarsi la qualità di pubblico ufficiale del curatore dell’eredità giacente e la inquadrabilità della condotta di appropriazione di un bene ereditario da parte di tale soggetto qualificato nel reato proprio di cui all’art. 314 c.p.» (Cass. Pen. 34335/2010).