Mobbing e bossing
La Cassazione ha affermato il principio che il bossing vada risarcito in maniera più consistente rispetto al mobbing in generale.
Infatti, secondo la sentenza n. 35061/21 del 17/11/21, confermativa di quella della Corte d’Appello, sia i superiori gerarchici che hanno svolto azioni di mobbing che datori di lavoro “colpevolmente inerti” sono tenuti a pagare il danno da bossing (una forma di mobbing che proviene dall’alto o mobbing strategico) al dipendente con un importo del danno biologico raddoppiato per risarcire la sofferenza morale che deriva dalla lesione della dignità del prestatore sul luogo di lavoro. Né conta che la vittima della condotta vessatoria sia una persona già fragile: in caso di concorso fra causalità umana e concausa naturale il responsabile dell’illecito risponde per l’intero. Decisive le testimonianze dei colleghi in una storia di bossing, in cui il lavoro viene sminuito e dequalificato sistematicamente con frasi del tipo: “fa schifo”, “idiota” di fronte ai colleghi, negando congedi maturati, ma pretendendo staordinari. Insomma: la condotta del superiore è frutto di un disegno per declassare la personalità del lavoratore e costringerlo ad andar via, come poi è successo. Risultato: la vittima, costretta a dimettersi, riporta un disturbo dell’adattamento quantificato in un’invalidità permanente al 4 %. La lesione accertata, concausa della condotta di mobbing prolungato, anche in presenza di substrato psicologico esistente, investe non soltanto obblighi contrattuali ma anche prerogative personali di rango costituzionale: il diritto alla salute e alla dignità sul luogo di lavoro. Proprio per dare adeguato riconoscimento al pregiudizio morale arrecato alla dignità della persona umana, l’importo spettante a titolo di danno biologico (consistente in un disturbo dell’adattamento quantificato in un’invalidità permanente del 4%) è stato raddoppiato, in modo da risarcire anche il danno morale causato dalle continue mortificazioni patite sul luogo di lavoro.
Prescindendo dal caso concreto in sentenza, la finalità del bossing è quella di umiliare e mortificare il dipendente con una serie di comportamenti di vario genere: continui rimproveri, procedimenti disciplinari ingiustificati, controlli ossessivi sulla qualità del lavoro svolto, sovraccarico di compiti, negazione di ferie e di permessi. Il fatto che queste condotte provengano dal datore di lavoro o da un dirigente rendono più serie e gravi le conseguenze a carico del dipendente che è costretto a subirle. Nei casi estremi, il bossing arriva a privare il lavoratore della possibilità di svolgere la sua attività, ad esempio lasciandolo senza incarichi e compiti concreti, discriminandolo rispetto ai colleghi, demansionandolo senza ragioni organizzative o produttive o relegandolo in una postazione isolata, scomoda e priva di contatti con gli altri reparti aziendali e con l’esterno.
Danni da bossing: chi è responsabile?
Il datore di lavoro è tenuto a «tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro», come sancisce l’art. l’art. 2087 del Codice civile. Egli deve, quindi, prevenire ed evitare qualsiasi situazione che possa ledere o porre in pericolo la salute psico-fisica dei dipendenti, anche se il bossing è compiuto da un suo preposto o da altri dipendenti con posizione organica sovraordinata e con supremazia gerarchica rispetto a quella della vittima. Insomma, il datore di lavoro deve fare tutto ciò che è in suo potere per impedire ogni fenomeno non solo di bossing, ma anche di mobbing orizzontale, altrimenti risponderà delle conseguenze negative prodotte e sarà tenuto a risarcire i danni alla vittima. Quindi, il datore di lavoro risponde dell’illecito civile, cioè delle conseguenze negative e pregiudizievoli arrecate al lavoratore vittima di bossing o di mobbing nei seguenti casi:
-in caso di bossing, a titolo proprio, per aver realizzato (direttamente e/o attraverso l’azione dei propri dirigenti, preposti e superiori gerarchici del dipendente vessato) una serie di azioni vietate dalla legge; le condotte illecite compiute dai vari responsabili aziendali gli vengono attribuite perché egli li ha collocati in una posizione di supremazia e non ha vigilato adeguatamente sul loro operato, per evitare le vessazioni del personale;
-in caso di mobbing orizzontale compiuto dai colleghi, per essere venuto meno al suo obbligo di prevenzione di situazioni nocive alla salute dei prestatori di lavoro, consentendo o tollerando il compimento di condotte continuative e sistematiche volte ad offendere, umiliare ed emarginare un dipendente.
Bossing: come si dimostra?
La dimostrazione di una serie di fatti che integrano l’illecito di bossing deve avvenire, nell’ambito della causa civile instaurata contro il datore di lavoro (ed eventualmente anche contro il superiore gerarchico che si è reso responsabile delle condotte) provando il compimento di una serie di comportamenti persecutori protratti nel tempo e unificati dal medesimo intento vessatorio. Inoltre, la persona offesa dovrà dimostrare la sussistenza di una lesione alla salute e di un pregiudizio ai propri diritti della personalità (come la dignità, l’onore e la reputazione) che derivi dalla condotta illecita del datore di lavoro o dei superiori. Per provare i fatti di bossing valgono tutte le fonti di prova ammesse nel giudizio civile, come i documenti, le testimonianze, le registrazioni, i filmati e i messaggi; la prova dei danni alla salute, invece, deve essere attestata da una perizia medico-legale, descrittiva delle patologie riscontrate e dell’entità delle lesioni che ne sono conseguite, espresse in termini di punti percentuali di danno biologico.
Danni da bossing: quali sono?
I danni provocati dal bossing sono di diverso genere e possono essere di tipo patrimoniale o non patrimoniale. Fra i danni patrimoniali rientrano:
-il pregiudizio economico arrecato dal demansionamento o dalla dequalificazione professionale;
-il danno biologico, quantificato nell’entità delle lesioni all’integrità psico-fisica, che determinano un grado percentuale di invalidità, temporanea o permanente;
-le spese per ricoveri e cure delle patologie derivanti dal bossing (acquisto di medicinali, terapie psicologiche, visite mediche, interventi chirurgici, ecc.);
-il danno da licenziamento illegittimo o da dimissioni per giusta causa, alle quali il lavoratore è stato costretto per sfuggire a un bossing inevitabile.
Il danno non patrimoniale, invece, comprende i danni morali insiti nella sofferenza cagionata al lavoratore dalle offese reiterate o da tutte le altre umiliazioni e soprusi subiti sul luogo di lavoro nel corso del tempo, e il danno esistenziale, che si configura quando il bossing ha pregiudicato lo svolgimento della normale vita di relazione anche in ambito extralavorativo, come nei rapporti familiari e sociali.
Risarcimento danni da bossing: quantificazione
La quantificazione dell’ammontare dei danni da bossing avviene, ad opera del giudice, utilizzando per la loro liquidazione le tabelle previste per il risarcimento del danno biologico, oppure in via equitativa, se non è possibile quantificarli nel loro preciso ammontare. In questo caso, la giurisprudenza usa come parametro la retribuzione spettante nel periodo in cui sono state compiute le condotte di bossing.